Jehan Bretel, Liriche cortesi, a cura di C. Concina, con una premessa di A. M. Babbi, Verona, Edizioni Fiorini, 2012 («Medioevi. Testi», 4); 226 pp. ISBN 978-88-96419-55-7
Nel panorama della ricca produzione lirica della seconda metà del XIII secolo spicca il nome di Jehan Bretel, tra i più attivi animatori del celebre cenacolo poetico di Arras. Ricordato soprattutto in relazione alla pratica del jeu-parti, uno dei generi all’epoca più in voga, e alla carica di prince du Puy, Bretel si distingue nel contesto del patriziato cittadino e nel contempo sintetizza emblematicamente le tendenze e i gusti letterari di una delle stagioni più prolifiche della letteratura oitanica. Insieme ai numerosi jeux-partis la tradizione ci ha consegnato un esile Liederbuch, costituito da sette liriche cortesi conservate in alcuni dei grandi canzonieri d’oïl. Tali chansons d’amour sono qui riunite in una nuova edizione critica corredata da un commento e da una traduzione: da esse emerge la figura di un poeta di scuola la cui voce è comprensibile solo sullo sfondo della coralità della poesia artesiana.
R. Capelli, Allegoria di un mito: Tiresia nell’Ovide moralisé, Verona, Edizioni Fiorini, 2012 («Medioevi. Testi», 3); 268 pp. ISBN 978-88-96419-47-2
Tiresia è, nella mitologia classica, l’indovino tebano cieco, famoso per essere stato trasformato in donna; tra le molte versioni antiche di questa vicenda, il racconto di Ovidio nelle Metamorfosi‚ ha una fortuna particolare, legata all’importanza che questo autore ebbe nel corso di tutto il Medioevo, soprattutto tra XII e XIII secolo. Il ricchissimo patrimonio di miti delle Metamorfosi viene reinterpretato attraverso il metodo allegorico dell’esegesi scritturale come repertorio di exempla biblici e agiografici. Un’opera emblematica di questo processo di rielaborazione e assimilazione dell’eredità pagana è l’Ovide moralisé, un poema di circa settantaduemila octosyllabes, volgarizzato in area borgognona all’inizio del Trecento e riadattato in prosa due volte nel secolo successivo.
Il presente volume studia la trasformazione del personaggio di Tiresia dal testo latino, attraverso i suoi derivati mediolatini, fino ai testi mediofrancesi, analizzando gli aspetti più propriamente letterari in funzione dell’intento didascalico della moralizzazione, mettendo in evidenza le costanti archetipiche della vicenda e le diverse soluzioni formali e dottrinali adottate a seconda dell’epoca e del pubblico cui l’opera è indirizzata. Il lavoro si completa di una sezione ecdotica.
Il presente volume studia la trasformazione del personaggio di Tiresia dal testo latino, attraverso i suoi derivati mediolatini, fino ai testi mediofrancesi, analizzando gli aspetti più propriamente letterari in funzione dell’intento didascalico della moralizzazione, mettendo in evidenza le costanti archetipiche della vicenda e le diverse soluzioni formali e dottrinali adottate a seconda dell’epoca e del pubblico cui l’opera è indirizzata. Il lavoro si completa di una sezione ecdotica.
L’«Orphée» de Boèce au Moyen Age. Traductions françaises et commentaires latins (XIIe-XVe siècles), textes réunis par J. K. Atkinson et A. M. Babbi, Verona, Edizioni Fiorini, 2000 («Medioevi. Testi», 2); XXIX-258 pp. ISBN 88-87082-04-9
À travers son mythe, Orphée – poète, musicien, prophète, “fin amant” – continue à nous hanter comme il a hanté tout le moyen âge. Mais pourquoi un Orphée boécien? En fait, et à part les textes latins bien connus de Virgile, d’Ovide et de Sénèque, c’est l’Orphée du mètre xii du troisième livre de la “Consolatio philosophiae” de Boèce que les écrivains médiévaux – glossateurs, commentateurs, traducteurs – ont pris comme point de départ pour toute une série de thèmes narratifs, philosophiques et moraux. Désolé par la disparition d’Eurydice, cet Orphée, en descendant aux enfers à la recherche de sa femme, apaise Cerbère et les Furies, interrompt momentanément les tourments de Tantale, d’Ixion, de Tityos, et convainc finalement les dieux des enfers à lui restituer son Euridyce. Mais en se retournant il rompt la condition imposée par les dieux. Ainsi perd-il une seconde fois. Selon Boèce, cette fable doit être lue comme un avertissement aux hommes de tenir leurs regards attachés sur le Souverain Bien qui peut seul offrir la vraie consolation. C’est une heureuse rencontre des intérêts d’Anna Maria Babbi et de Keith Atkinson, portant sur les traductions françaises et italiennes de la “Consolatio” au moyen âge, qui a conduit à la conception et à la réalisation de ce livre. Il semblait intéressant de réunir dans un seul volume toutes les traductions françaises médiévales de ce mètre de Boèce. La plupart de ces textes restaient inédits et peu connus. Dans un second temps, la décision a été prise d’y ajouter les textes de quelques commentateurs latins, qui ont servi, d’une manière ou d’une autre, aux traducteurs français, leurs contemporains. Aux douze traductions françaises vient ainsi s’ajouter un ensemble de six commentaires latins.
Textes établis par: B. M. Atherton, J. K. Atkinson, A. M. Babbi, M. Bolton-Hall, G. M. Cropp, G. N. Drake, L. Nauta, M. Noest, C. Olmedilla Herrero. Introduction par A. M. Babbi.
Textes établis par: B. M. Atherton, J. K. Atkinson, A. M. Babbi, M. Bolton-Hall, G. M. Cropp, G. N. Drake, L. Nauta, M. Noest, C. Olmedilla Herrero. Introduction par A. M. Babbi.
Il racconto di Nornagestr, a cura di A. Cipolla, Verona, Edizioni Fiorini, 1996 («Medioevi. Testi», 1); 384 pp. ISBN 88-87082-00-6
Rispettando lo schema di una fiaba, il Racconto di Nornagestr, tardivo prodotto della tradizione epica norrena, si preoccupa di reinterpretare l’ethos della civiltà pagana al tramonto. E quel patrimonio di credenze e miti che, sul piano della fede positiva, deve essere bollato come finzione ingannatrice del demonio e rifiutato, può essere salvato dall’oblio come materia di letteratura.